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Lezioni per attori dal set di Hunter's prayer



Trovarsi per la prima volta a dover essere diretto da un regista come Jonathan Mostow in una scena con Sam Worthington vuol dire avere una crisi da prestazione ed un magone alla gola. Questo pensavo prima di trovarmici. La meraviglia, per essere tale, deve sorprendere: la meraviglia di trovarsi con un regista che, sebbene qualcuno definisca un "asshole" si sia comportato in modo eccellente tanto per citarne una. Continuava ad aggiungermi battute (in francese ed in inglese con accento francese) ed a modificarle. Ha persino aggiunto una scena alla mia parte che ha decretato il mio completo innamoramento verso quella situazione: avrei passato in quel posto, in quella piccola stazione dell'Ungheria dove si fermano 3 passeggeri, almeno dei giorni se non delle settimane solo a fare il lavoro che amo.

La grande sorpresa è stata però questa: pensare di poter imparare così tanto e direttamente da un attore come Sam Worthington (Lucas nel film) che pensavo non mi considerasse proprio invece...ecco non solo mi faceva più domande di quante io gliene facessi (praticamente nessuna per una sorta d'imbarazzo) ma mi ha dato una mano durante tutte le 10 ore passate insieme su quella panchina, insegnandomi cose importanti che, per quanto potessi conoscere da libri o lezioni, non avevo mai visto concretamente.


Per cominciare, la scena stessa ed il suo dramma interno: un uomo che è stato ingaggiato per uccidere una ragazzina finisce con il proteggerla ed a sua volta con il diventare vittima di qualcuno che li insegue. In una stazione in Francia io, dopo aver visto la ragazzina bagnarsi una ferita, vado a chiedere informazioni. Ora, da copione, Lucas sarebbe tentato dal bisogno di dovermi uccidere quando gli chiedo i documenti. Qui nasce il dramma nel dramma. Sam chiedeva al regista: perché mai un uomo dovrebbe pensare di uccidere un poliziotto che gentilmente chiede i documenti e fa altre domande? Come attore lui si sentiva di dover forzare una situazione che non stava sulle proprie gambe. Riteneva di dover trovare una spiegazione e di voler capire il dramma che secondo lui era inesistente. Ecco la prima lezione: un attore deve sapere dove va il personaggio, avere un "motivo"(dovremmo trovarne uno anche nella vita penso).

Avere una direzione e prima di tutto un perché, è una base da cui partire per tessere l'anima della scena. Chiedersi perché e, se nella sfera del logico e sensato, darsi una risposta chiara ed attaccarsi ad essa. L'azione che ne discende sarà allora una cosa che definiamo "naturale". Sarà un pezzo di vita.


Secondo momento: sapere che 50 persone aspettano che tu faccia una scena perfetta e sentire il peso della responsabilità sulle proprie spalle, non è forse la direzione giusta per un attore, eppure, penso, normale. Sam ha capito che avrebbe potuto aiutarmi a rilassarmi in qualche modo. Mi ha detto di non essere schiavo del tempo e soprattutto della fretta, quella che c'è quando, pensi di voler finire tutta la scena, di essere perfetto così che tutti possano tornare a respirare sul set. Ecco: mi ha solo detto "Luca, sei tu a dominare tutto, loro sono sotto il controllo degli attori, prenditi il tuo tempo, loro sono qui per te, per attendere che la cosa si compia". Devo dire che per una volta ho visto la mia posizione in modo diverso, forse rivalutandola. Non più schiavo del set e dello stress, ma rilassato protagonista di un processo creativo. Il tempo è nelle nostre mani ed al fine di dare una buona prova di recitazione, non ci sono ansie che siano giustificate e giustificabili.


Infine, il gioco. Durante le diverse inquadrature delle stessa scena, il punto di vista di uno degli attori o un totale, mi sono accorto che un attore di un certo livello è chi non ha paura di osare, giocare, uscire fuori dalla righe. Forse perché ci si sente autorizzati a farlo o non rimproverabili o forse perché, in qualche modo, il gioco è una parte importante del processo? Se pensiamo alla parola recitare in italiano che implica l'idea di finzione ed a quella inglese (play: giocare)...beh forse per una volta dobbiamo ammettere che la nostra bella lingua rappresenti un limite perché ci da una linea da seguire, quasi ce la impone: quella della serietà e della totale dedizione al testo, alla scena. Attenzione: non parlo di burloneria o superficialità ma di un modo diverso di prendere le cose e di, anche se solo per un attimo, romperle per poi ricomporle. Ricordo quando alla battuta "Posso vedere i vostri documenti" lui ha risposto di no e si è messo a ridere. Io ero pietrificato e sono rimasto fedele al mio ruolo di "non simpaticissimo poliziotto francese" mentre lui, forse volendo o meno, mi ha messo a mio agio proprio portandomi fuori binario.

Uscire da tutto per un attimo, da una scena, un copione o se stessi per un attimo e forse un modo per trovare un nuovo ossigeno.


Il regista mi ha ringraziato per la performance e mi ha detto delle parole a cui stento a credere. Non era un sogno però. Ho i capelli più corti, il che prova che qualcuno me li abbia davvero tagliati.


Ringrazio Tutto quello che ha partecipato affinché io avessi quest'opportunità.


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